Con le parole si può fare gol...o autogol

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RUBRICA di La Lomellina

Le parole che pronunciamo, anche negli scambi più banali della vita di tutti i giorni, hanno un peso: non dimentichiamolo.

Per noi, che utilizziamo un determinato termine con l’ovvia intenzione di essere chiari e di trasmettere un concetto preciso, e per chi ascolta, che a sua volta è chiamato a recepire per poi ribattere. Infatti, la comunicazione è un processo circolare. Il problema è che ognuno attribuisce allo stesso termine significati personali legati alla propria storia, alle proprie emozioni e stili di relazione. Non ci si trova sempre sulla stessa lunghezza d'onda e lo scambio può prendere strade differenti in base alle parole che si usano. 

Spesso e volentieri il modo di parlare è costellato da una serie di metafore che la persona utilizza per far capire cosa prova/ha provato o come si vede utilizzando un'immagine esterna per esemplificare una situazione che gli appartiene. Ad esempio, "sono nel pallone" questa frase non deve sicuramente essere presa alla lettera ma potrebbe voler dire che la persona si sente sballottata da una parte all'altra e confusa. Al contrario "essere ad un metro da terra" indica che la persona ha provato una sensazione di estremo benessere e felicità.... non che sia un campione olimpico di salto in alto!

Altro esempio recente di come si possano aprire scenari differenti è avvenuto a Sanremo 2021, in occasione del momento dedicato allo sport e alla sua capacità di essere utilizzato come metafora/esempio. Un’occasione in cui si è mancato di sensibilizzazione sul tema delle persone con disabilità aiutando il pubblico a concepirle come persone e non malati, sfortunati. Riprendo un articolo di “Invisibili” di Corriere del 7 marzo: “Perché non è accettabile che un professionista della comunicazione come Amadeus utilizzi ancora termini come “portatore di handicap” o espressioni come “soffre di disabilità” davanti a milioni di persone. O che legga quattro frasi su non parcheggiare senza permesso sui posteggi dedicati a chi ha una disabilità, usando quella distanza fra “noi” e “loro”, i “fortunati” che non ne hanno bisogno e i “poverini” che li devono usare. È apparso, ma questa è magari solo un’impressione, che Ibra fosse il campione e Grande un suo tifoso, mentre su quel palco i campioni erano due e sarebbe stato bello far percepire meglio aspetto. E questo malgrado Donato Grande abbia cercato di mostrare e raccontare le abilità degli atleti paralimpici.”

Come sempre suggerisco un approfondimento con la lettura di “Al gusto di cioccolato” di M.Rampin Ed. Le grazie presso Sistema Bibliotecario Lomellino.

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