DIARIO DI UNA TIROCINANTE - Libro-terapia

Su internet ho trovato numerosi articoli sui benefici della lettura come “omeopatia dell’anima”: leggere fa bene, libera la mente e, ormai è dimostrato, ha una vera e propria azione psicoterapeutica.
Tanto che stanno nascendo percorsi di libroterapia, oppure spesso i terapeuti stessi utilizzano i libri come strumenti all’interno delle terapie.
Il malessere psicologico che conduce alla decisione di intraprendere un percorso di psicoterapia è, in linea di massima, dovuto al fatto che, ad un certo punto, il modo in cui noi ci dipingiamo una determinata cosa inizia a non essere coerente e disturbarci. A quel punto sentiamo il bisogno di ricevere un aiuto per capovolgere la situazione e vederla da un'altra ottica: in questo i libri costituiscono un ottimo aiuto per svincolarci dalla nostra realtà, sia in un progetto di terapia sia in un percorso nostro personale, quando decidiamo di concederci un momento di relax tutto per noi in compagnia di un libro.
In percorsi di gruppo o terapie individuali, il libro viene utilizzato come mezzo per aiutare il soggetto a  sganciarsi dal suo punto di vista, specchiarsi nel personaggio, nel suo modo di fare, le sue emozioni e nelle sue esperienze. In questo modo il modo di fare, le emozioni ed esperienze del protagonista diventano il modo di fare, le emozioni ed esperienze del soggetto, e viceversa: il libro permette di sperimentare dal di fuori ed affrontare tematiche che, altrimenti il soggetto non sarebbe portato ad affrontare in prima persona.
È come se, seguendo il protagonista da lontano, potessimo capire cosa significa provare quelle emozioni, oppure che la stessa situazione che noi abbiamo affrontato (o pensiamo di voler affrontare) in un modo, affrontata in un altro porta un certo tipo di conseguenze… allora riflettiamo su queste conseguenze, e magari ritorniamo sui nostri passi. Con il vantaggio di non essere gli attori materiali che sperimentano le conseguenze della situazioni.
Vedere con gli occhi del protagonista”  ci permette di metterci in gioco mantenendo le distanze, ma questo implica spesso un pesante investimento emotivo: d’altra parte, il cambiamento implica sempre uno sforzo!   

Non esistono, secondo me, “libri terapeutici” in quanto tali, come non esistono (in linea di massima) libri brutti e libri belli. Esistono libri che ci lasciano qualcosa, libri dei quali siamo pronti a cogliere il messaggio, libri nei quali ci riconosciamo di più o di meno perché ricalcano una particolare realtà che conosciamo e/ o che siamo pronti a comprendere.

Tutti noi, se ci pensiamo, abbiamo amato profondamente un personaggio, fatto il tifo per le sue avventure (o disavventure). Tutti abbiamo almeno una volta provato fastidio nei confronti di un determinato atteggiamento giudicato una situazione letta in un libro.
Provare simpatia, ammirazione, ma anche provare odio e fastidio nei confronti di un personaggio, significa provare empatia. E se proviamo empatia leggendo le vicende di un personaggio, significa che in quel personaggio siamo in grado di riconoscerci (nel bene o nel male), ne comprendiamo il punto di vista magari diverso dal nostro.
Se non ci riusciamo, l’intento dell’autore ( e anche quello di chi ci ha proposto il libro, evidentemente con lo scopo di farci comprendere un particolare messaggio) può essere il migliore, il libro può essere scritto in maniera impeccabile… ma l’unica cosa che facciamo è chiuderlo ed interrompere la lettura. L’unico pensiero che ci passa per la testa è “boh…” e diamo la colpa al libro che non è scritto bene, per questo non ci ha lasciato nulla, mentre siamo noi a non aver colto il messaggio. In quel momento non era il libro per noi.
Soprattutto non siamo riusciti a farlo nostro, perché inevitabilmente l’obiettivo ed il messaggio con cui l’autore parte nel voler scrivere quel libro non sono mai quelli che vengono colti dal pubblico di lettori: in mezzo, c’è un ventaglio di sfumature costituite dalle vite, dai pensieri e dalle emozioni di chi legge, che sono inevitabilmente diversi da quelli dell’autore.
Il libro è di chi lo legge, che ci mette il proprio modo di  vedere le cose . E’ un mezzo con il quale il lettore entra a capofitto in emozioni e situazioni che sente lo rappresentino. E può farlo senza rischi, perché le emozioni in quel momento sono quelle del protagonista: l’unico rischio è quello di uscirne con una riflessione in più, un dubbio che ci porta a riflettere. Ma è un rischio che vale la pena correre.
Questa lunga riflessione nasce dalla possibilità che mi è stata data di partecipare ad attività durante la settimana “Nati per Leggere”, svolta dal 15 al 23 novembre 2014.
Tale manifestazione è pensata per offrire l’opportunità di incentivare l’amore per la lettura nei bambini: io, accanita lettrice, potevo non appoggiare in pieno questa iniziativa?
Ancor più che per gli adulti, per i bambini la lettura offre un mondo di possibilità di crescita e apprendimento: le fiabe ed i racconti sono metafore di vita, tramite cui il bambino impara che a volte incontrerà il lupo nel bosco o la strega cattiva, ma ha le potenzialità per sconfiggerli.
Tutto questo grazie ai genitori ed alle scuole, che hanno il compito di proporre ai bambini attività dedicate alla lettura (che è anche un ottima occasione per stare insieme!)…                                                      magari iniziando a dare il buon esempio!!

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