DIARIO DI UNA TIROCINANTE - D come DISTURBI DELL'APPRENDIMENTO o B come BAMBINO/A?


Uno dei temi “caldi” che interessano gli psicologi riguarda l’integrazione scolastica di bambini che, per diversi motivi, sono svantaggiati dal punto di vista dell’apprendimento.
Negli ultimi anni hanno cominciato a fioccare nuove classificazioni, decreti legge, riforme della didattica, per cercare di dare a tutti i bambini i giusti strumenti per l’apprendimento: ad esempio, la legge sull’inclusione degli alunni con DSA risale al 2012, a cui segue la recente normativa sui BES. La veterana legge che tutela i diritti delle persone con disabilità è “solo” del 1992.
DSA, Difficoltà di Apprendimento, BES, ADHD, DOP… magicamente sono comparse queste (e magari altre che non conosco) sigle ad indicare altrettante condizioni che ostacolano gli apprendimenti.
Delle classificazioni ci siamo occupati da pochi anni… ma i bambini sono sempre gli stessi!
La legge stabilisce che la diagnosi di DSA possa essere emessa a partire dal secondo anno di scuola primaria… ma non è lo stesso bambino che l’anno precedente era in prima?!?
Cosa ne è di questi bambini PRIMA che gli venga consegnata l’etichetta spesso agognata da genitori ed insegnanti? Sì, perché ricevere una diagnosi da una parte può rincuorare (“Non può dargli l’insufficienza in matematica: è discalculico”) dall’altra spaventare genitori ed insegnanti.
L’uno giustamente preoccupato delle ricadute psicologiche che l’etichetta può avere sul proprio figlio…l’altro, spesso, più ossessionato dal dover modificare il programma in funzione del/la bambino/a con diagnosi.
Manca, da una parte e dall'altra, la cultura del "si può fare qualcosa, non è una disgrazia", che permetterebbe di vedere che oltre l'etichetta si può arrivare ad una soluzione.Da questo punto di vista, la figura dello psicologo nelle scuole può/potrebbe fare molto, per aiutare a migliorare l'approccio degli studenti (DSA e non) allo studio ed, in primis, aiutare i docenti a districarsi tra gli ostacoli di burocrazie, sigle, strumenti compensativi e dispensativi, tramite adeguata formazione ed informazione.
Perché in tutto questo i docenti si perdono l’aspetto essenziale del loro lavoro: l’insegnante è una sorta di mentore, il cui compito è trasmettere agli alunni la passione per lo studio e la curiosità delle scoperte.
Se un docente è portato a mettere in primo piano le difficoltà dell’eterna burocrazia (“Non ha raggiunto i criteri per la diagnosi… LEGGE MALE, GLI METTO 4. Ma poi i genitori?), perde l’importanza che il suo ruolo riveste sui suoi alunni, non solo come discenti ma innanzitutto come INDIVIDUI.
Al contempo, per l’alunno, avere la sensazione di ESSERE DSA e non AVERE UN DISTURBO DELL’APPRENDIMENTO può segnare irrimediabilmente la sua motivazione allo studio ed autostima anche da adulto.
Arrivata ad uno dei bivi della scelta per la mia futura professione, adesso più che mai capisco il bisogno che la scuola sente di avere personale (essere stata/essere “etichettata" a mia volta un po’ aiuta!) che aiuti insegnanti ed alunni a districarsi in questo dedalo di preconcetti ed obblighi, che finiscono per rappresentare quello che una persona E' e non una CONDIZIONE IN CUI CI SI TROVA, superabile con i dovuti accorgimenti.
Vi lascio con una citazione, che secondo me esprime piuttosto bene quello che ad oggi è il pensiero di molti alunni delle scuole italiane rispetto ai loro docenti...
“Se non imparo nel modo in cui tu m’insegni, 
insegnami come io imparo”.

(Bruno Tognolini - Scrittore)

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